Onorevoli Colleghi! - Ormai è su molti fronti che si appalesa la necessità di istituire anche in Italia un servizio di mediazione per prevenire, gestire e risolvere i conflitti nelle varie forme in cui essi si presentano, in larga parte raggruppabili nelle due grandi categorie di controversie giuridiche e di conflitti sociali.
      La conciliazione stragiudiziale dovrebbe perseguire il duplice fine, non solo di far riavvicinare le parti e risolvere pacificamente il problema oggettivo, ma anche di alleggerire il carico dei tribunali soprattutto liberandoli da quei processi di scarso contenuto giuridico e basati su scopi puramente dilatori. Questa tendenza ha un effetto perverso poiché proprio per queste caratteristiche tende a richiamare sempre più processi strumentali.
      La mediazione sociale dovrebbe diventare lo strumento cardine per prevenire e porre un argine alla conflittualità, per non dire violenza, oggi tipica negli agglomerati cittadini. All'estero è ormai consolidata l'esperienza dei community board negli Stati Uniti, con cui si interviene per fare in modo che il disagio non si trasformi in reato e, quand'anche ciò avvenga, si favorisce l'incontro tra l'autore del reato e le sue vittime per, dopo il risarcimento del danno, tentare di recuperare il dialogo tra le parti e la collettività. Anche in Europa esistono delle leggi che, pur in presenza della obbligatorietà dell'azione penale, prevedono la possibilità di una procedura intermedia di mediazione che può portare alla rinuncia del procuratore della Repubblica in caso di accordo tra le parti: così avviene in Francia, in Gran Bretagna, in Olanda, in Austria e in Norvegia.
      Un altro aspetto della mediazione sociale riguarda i piccoli conflitti della quotidiana vita di quartiere come le liti tra condomini, il parcheggio in mezzo alle piazze, gli incidenti stradali di modesta entità, i rapporti con i negozianti, l'efficienza

 

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dei pubblici servizi, il degrado ambientale, l'inserimento degli extracomunitari regolari, la vita nella scuola, negli ospedali e sul posto di lavoro.
      Esistono infatti molti attriti che, senza assumere la veste di violazione di legge, provocano disagio che si trasforma in ribellione, che a sua volta si trasforma in violenza. La cura del dialogo guidato da un terzo imparziale adeguatamente preparato in tecniche di negoziazione e di mediazione può avere benefici effetti non solo tra le parti ma anche tra queste e la collettività.
      Di qui la originalità della proposta di legge che mira a istituire un Servizio nazionale integrato di mediazione basato su organismi pubblici e privati, così come avviene con il Servizio sanitario nazionale, con il non celato scopo di rendere possibile, in caso di bisogno, il travaso delle risorse umane e materiali da un organismo all'altro.
      Il sistema appare del tutto originale lì dove amplia ed ingloba nelle varie forme di conciliazione anche quelle offerte dagli uffici territoriali del Governo (UTG), ora tenuti per legge (tabella A, lettera e), allegata al decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139) anch'essi ad istituire un servizio di mediazione dei conflitti sociali.
      Il travaso potrebbe comportare, ad esempio, che i conciliatori delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, già preparati, possano essere proficuamente utilizzati anche presso gli UTG.
      A monte di tale struttura differenziata è bene che presieda un garante della qualità dei servizi offerti dal Servizio nazionale integrato, in modo che il cittadino percepisca come attraente per sè e per la collettività questa innovativa modalità di comporre i conflitti basata sulla soddisfazione reciproca e non sul «io vinco - tu perdi», possibile fonte di desiderio di rivincita in chi abbia perso.
      Lo spirito della mediazione qui proposta quindi ha un sapore antico e nel contempo moderno: esso è ben lontano dall'approccio contenzioso delle parti l'una contro l'altra armate e si concentra sull'accordo in modo che esso risulti efficiente rispetto ai bisogni delle parti; esso riporta alle parti stesse il potere decisionale e le responsabilità conseguenti senza dovere sottostare al volere di un terzo che per definizione decide su differenti criteri; esso mira in primo luogo alla coesistenza pacifica, all'arricchimento reciproco, al dialogo consapevole.
      L'Alternative dispute resolution (ADR) trae origine dall'esperienza negli Stati Uniti, dove ha rappresentato per diversi decenni una figura centrale del più vasto quadro della risoluzione dei conflitti e delle controversie.
      In Europa l'ADR è stata introdotta non più di quindici anni fa e particolarmente in Inghilterra e Galles ha dato ottima prova.
      In virtù delle particolari caratteristiche possedute, l'ADR si va diffondendo anche nelle giurisdizioni di Civil law, tanto da indurre la Commissione europea a pubblicare, di recente, il suo «Green Paper on alternative dispute resolution in civil and commercial law» sul tema.
      Gli esempi di una risposta istituzionale «diversa» alla crescente domanda di giustizia civile sono assai diffusi fra gli ordinamenti dei Paesi dell'Unione europea, pur improntati a tendenze differenziate.
      In alcuni di questi (Francia e Germania) la risposta sembra essere di natura essenzialmente giurisdizionale, là dove la ricerca di soluzioni conciliative (all'interno o al di fuori del processo) si colloca in una prospettiva di complementarietà e con funzione di «filtro» rispetto all'esercizio della giurisdizione contenziosa.
      In Francia, conciliazione e mediation non sono soggette ad alcuna precisa definizione legale o giudiziale.
      Nella pratica, conciliazione e mediation vengono usate alternativamente ed in modo intercambiabile, in funzione delle scarse differenze individuate, eccezion fatta per il ruolo più impegnativo del terzo nella mediation.
      Viceversa, il regolamento dettato dalla Camera d'arbitrato di Parigi segna una chiara differenza tra le norme che definiscono il «mediator», rispetto al «conciliatore».
 

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      La disciplina legislativa dell'ADR concentra l'attenzione sulla ADR di tipo giudiziale, mentre l'ADR volontaria, lasciata alla iniziativa privata, è disciplinata dalle norme generali sul contratto, contenute nel codice civile francese.
      La riforma più importante della ADR è stata introdotta nel 1995 ed integrata da decreti attuativi del 1996.
      Attraverso queste normative la conciliazione giudiziale è stata elevata a rango di principio fondamentale del procedimento giudiziale disciplinante i diritti e le obbligazioni delle parti, nonché il ruolo del giudice.
      Un capitolo ad hoc del codice di procedura civile è stato dedicato alla mediation giudiziale, nell'ambito delle controversie civili e commerciali.
      Non mancano norme che contemplano la facoltà di ricorrere alla conciliazione o alla mediation nel campo più strettamente fallimentare.
      Solo in alcuni casi e per specifiche materie (lavoro, previdenza sociale, locazioni rurali, eccetera) la conciliazione giudiziale è considerata come obbligatoria, prima del ricorso al giudice.
      La mediation giudiziale può, invece, essere tentata in ogni momento e fase del procedimento, ma senza imposizioni da parte del giudice. I princìpi del processo ordinario, infatti, non si applicano alla mediation.
      Riservatezza e segreto professionale contraddistinguono l'attività del mediator.
      Nella conciliazione giudiziale conclusasi positivamente, il giudice ordinario è chiamato a conferire l'esecutività all'accordo privato, mentre la mediation giudiziale, sempre se positiva, si conclude con una ordinanza di conferma emessa dal giudice stesso.
      Decisamente più accolte dalle parti, sono le conciliazioni e le mediation stragiudiziali operate volontariamente dalle parti, ai fini della risoluzione di conflitti e di controversie di natura contrattuale.
      L'accordo così concluso ha forza di legge e va eseguito secondo buona fede.
      Le parti sono obbligate a compiere i passi per porre in atto il procedimento contemplato nella clausola di ADR, ma nessuna è obbligata a concludere un accordo per la composizione della controversia.
      La legge prevede un albo dei conciliatori nominati dal tribunale. Essi agiscono come volontari e vengono nominati dal presidente della corte di appello con competenza territoriale limitata e incarico annuale rinnovabile.
      L'accordo raggiunto dalle parti viene formalizzato in un verbale scritto e iscritto nel registro del cancelliere.
      Al verbale, su richiesta delle parti, il giudice può conferire esecutività.
      Il principio di riservatezza è applicato anche al mediator stragiudiziale.
      Conciliatori e mediator, di nomina del tribunale o di altri giudici, sono sottoposti ad una disciplina che differisce da quella di nomina dei conciliatori-mediator stragiudiziali.
      Questi ultimi sono, di solito, avvocati, magistrati onorari, commercialisti, tecnici legali o manager.
      L'esperienza maturata in Germania risulta di minore peso, in funzione del fatto che i tribunali sono meno oberati e il corso della giustizia gode di tempi assai brevi, che a loro volta lasciano spazi ben più modesti alla risoluzione alternativa delle controversie.
      Nondimeno, una recente normativa ha autorizzato i sedici Länder ad introdurre programmi di mandatory (vincolanti) mediation nelle cause civili, sia pure per cause di valore modico (euro 600-750).
      L'ordine degli avvocati tedesco ha istituito una commissione sull'ADR, con funzioni di consulenza del consiglio dell'ordine nazionale, oltre ad una sezione dedicata alla mediation con circa duecento professionisti.
      All'ordine degli avvocati è, altresì, demandata la istituzione di corsi di formazione.
      Anche in Spagna la mediation è, in qualche modo, agli inizi.
      Vi è giunta attraverso avvocati con formazione culturale statunitense (scuola di Harvard) o sudamericana.
 

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      Il diritto spagnolo ha sempre incoraggiato i cittadini a risolvere le loro controversie in qualsiasi modo e non necessariamente davanti al giudice.
      Alcune regioni autonome, quali Galizia, Valencia, Catalogna, hanno introdotto normative sulla mediation in tema di controversie familiari, con moltissimi organismi che si occupano di tale tipo di controversie.
      Esistono, inoltre, organismi privati i quali forniscono assistenza amministrativa e liste di soggetti preparati alla mediation.
      Le parti indicano le proprie preferenze sul candidato prescelto e, in mancanza, sarà l'organismo a provvedere.
      Il procedimento è volontario; il mediator deve rimanere neutrale e avere il controllo della procedura.
      Il mediator è libero di comunicare con le parti, di agire in tempi assai rapidi, con l'assistenza o meno di esperti e tecnici.
      D'intesa con le parti, il mediator concorda le modalità per rendere esecutivo l'accordo raggiunto.
      Confidenzialità, riservatezza e imparzialità, caratterizzano l'operato del mediator.
      L'esperienza maturata in Inghilterra e in Galles in tema di ADR è assai significativa e largamente consolidata.
      In realtà l'ADR comprende un numero ben più consistente di procedure che vanno oltre la mediation pura e semplice.
      Quest'ultima si contraddistingue per non essere di massima obbligatoria ma libera, per essere coperta da riservatezza e per avere natura contrattuale.
      Rilevante è la circostanza che i tribunali siano stati coinvolti nelle ADR, in occasione della novella del 1999 che ha introdotto nuove norme nel codice di procedura civile anglosassone.
      Non si registrano, né in Inghilterra, né in Galles, differenze significative tra le procedure di ADR/mediation ordinate dal tribunale e le procedure di ADR/mediation stragiudiziali. Ad entrambe le procedure si applicano le stesse norme ed un sistema analogo.
      Non esiste, perciò, una distinzione formale tra procedure «giudiziali» e procedure «convenzionali».
      Avuto riguardo alla flessibilità della procedura, non esiste una guida definita che spieghi come debba svolgersi una mediation.
      È stata la Law Society a stabilire gli standard di formazione professionale dei mediator ed i codici di condotta adottati dagli organismi di mediation.
      Uno degli organismi più importanti è il Centre for dispute resolution (CEDR) di Londra, in grado di fornire una vasta gamma di servizi quali l'attività di consulenza, la valutazione sulla lite, la nomina del mediator, la gestione della mediation, l'organizzazione delle riunioni, la redazione degli accordi.
      Un modello originale, infine, appare quello scandinavo, centrato su di un sistema bilanciato tra procedure di natura giurisdizionale e procedimenti para-giurisdizionali in settori specifici, come quelli in materia di consumo.
      Di massima, il procedimento para-giurisdizionale è destinato a precedere e condizionare la procedura dinanzi al giudice ordinario. Quest'ultimo è tenuto ad acquisire la decisione dell'organo para-giurisdizionale, in caso di impugnativa.
      Proprio nell'intento di «garantire la qualità dell'ADR» è intervenuto, sul tema, il Libro verde della Commissione europea nell'aprile 2002 (Com/2002/196 definitiva).
      Lo scopo è stato quello di stimolare il dibattito sulle problematiche specifiche e raccogliere le opinioni delle parti interessate. Ciò, nella prospettiva di una disciplina comunitaria sulle procedure alternative di risoluzione delle controversie.
      Tra i vantaggi delle procedure alternative, vengono evidenziati, in particolare, il riavvicinamento delle parti, la flessibilità dello strumento, il contenimento dei costi e un miglioramento dell'accesso alla giustizia per i cittadini.
      Viene espressamente evidenziato come le procedure debbano offrire garanzie di imparzialità, indipendenza, trasparenza ed efficacia. Viene giudicato imprescindibile, ai fini applicativi, un alto grado di formazione e di competenza da parte dei conciliatori.
 

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      In Italia, la mancata diffusione di un modello di conciliazione alternativo al ricorso al giudice ordinario o all'arbitro è da porre in correlazione con il sostanziale fallimento dell'istituto della conciliazione in sede non contenziosa dinanzi al conciliatore e, forse, anche con la mancanza di una vera e propria cultura della conciliazione.
      E ciò, in particolare, per avere il conciliatore privilegiato le funzioni contenziose, qualificandosi come magistrato «minore», per natura ed entità delle cause trattate, piuttosto che come giudice alternativo.
      In realtà l'esperienza italiana in ripetute occasioni ha cercato di promuovere la cultura della conciliazione. A testimonianza di quel che precede, è agevole rammentare l'articolo 185, secondo comma, e l'articolo 350, terzo comma, del codice di procedura civile nonché gli articoli 409 e seguenti in materia giuslavoristica. Analogamente, in tema: di contratti agrari, la legge 3 maggio 1982, n.203; di licenziamenti individuali, le leggi 15 luglio 1966, n.604, e 11 maggio 1990, n.108; di pubblico impiego, il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (articolo 69, ora articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165); di tributi locali, l'articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546; nelle controversie tra imprese e consumatori (esperienze SIP e TELECOM); in ambito bancario (attraverso la creazione dell'Ombudsman bancario operante dall'aprile 1993).
      Né sono mancate leggi speciali sul tema, quali la legge 29 dicembre 1993, n. 580, riguardante l'attività delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; la legge sulla subfornitura 18 giugno 1998, n.192; l'articolo 1 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n.773; la legge 11 febbraio 1994, n. 109, in materia di appalti pubblici; la legge 14 novembre 1995, n. 481, relativa alla istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità; la legge 30 luglio 1998, n. 281, relativa ai conflitti tra utenti e consumatori.
      Tra gli ostacoli alla diffusione - in Italia - dell'ADR, si segnalano ragioni di natura culturale e di natura tecnica. Le prime, in funzione della mancata formazione dei giuristi, nello specifico settore, sia ante, sia post laurea; le seconde, a motivo della modestia e/o insufficienza delle proposte concrete presentate per disciplinare il fenomeno.
      Il tutto, senza passare sotto silenzio la non sempre puntuale ricognizione dei modelli stranieri di riferimento, talora aggravata da inesattezze anche di ordine terminologico.
      Di qui l'opportunità e financo la necessità di presentare la proposta di legge de qua, volta a costituire la cornice entro la quale le varie iniziative, relative alla conciliazione-composizione consensuale professionale e stragiudiziale dei conflitti e delle controversie, possano integrarsi ed armonizzarsi tra loro sotto forma di nuova modalità di accesso alla giustizia, in un più ampio quadro di coesistenzialità tra giustizia ordinaria e arbitrato da un lato e risoluzione negoziale dall'altro.
      Il tutto, nel più stretto rispetto degli obiettivi di garanzia che gli organismi di conciliazione sono destinati ad assicurare ai cittadini, nonché di indipendenza, imparzialità e neutralità dei conciliatori, soggetti professionalmente preparati e qualificati, per mezzo di programmi e di strutture costituiti e sottoposti al controllo dell'autorità competente.
      L'altro obiettivo è quello che consiste nell'assicurare, per quanto possibile, uniformità ed omogeneità, in termini di organizzazione, personale, costi, luoghi, procedure e quant'altro.
      In linea con quel che precede, si pongono l'insegnamento delle tecniche di conciliazione e di risoluzione negoziale dei conflitti e delle controversie, nonché il controllo e la pianificazione delle attività svolte dagli organismi deputati.
      I profili di cui sopra si collocano perfettamente nel quadro della piena applicabilità dell'articolo 3 della Carta costituzionale, il quale invoca l'intervento dell'ordinamento al precipuo scopo di rendere effettivo, ed esercitabile dalla generalità dei
 

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cittadini, il diritto ad adire le giurisdizioni, sancito dall'articolo 24.
      Del resto, il tecnicismo delle leggi e la complessità dei meccanismi processuali compromettono, spesso, la possibilità di conoscere quali sono i propri diritti e quali sono i mezzi di tutela concretamente esperibili.
      La giurisdizione, per certo, resta un momento fondamentale della vita democratica e come tale deve essere aperta all'accesso quanto più possibile largo e incondizionato di tutti i cittadini.
      E se è vero che la giurisdizione è un bene necessariamente limitato, per altro verso vi è da dire che la domanda di giustizia, là dove diventi quantitativamente insostenibile, è possibile che finisca per negare a tutti la sua utilizzazione tempestiva, efficace e qualitativamente adeguata.
      È per questo motivo che la via indicata dalla risoluzione alternativa ai conflitti può dare vita ad un circuito virtuoso idoneo a facilitare e incentivare la capacità di autodeterminazione delle parti nella definizione dei conflitti. Tanto più se si considera che per risolvere vantaggiosamente un conflitto è necessario comprendere le motivazioni proprie e della controparte e valutare se al di sotto del conflitto «giuridico» non ve ne sia un altro, di diversa natura, ben più rilevante, in termini di bisogni ed interessi delle parti coinvolte.
      Ed è per questo che può ben affermarsi la non estraneità del tema dell'ADR nel nostro contesto costituzionale e, per conseguenza, la piena coesistenzialità fra giurisdizione e risoluzione negoziale dei conflitti e delle controversie.

Esame dell'articolato

      Il capo I contiene le disposizioni di carattere generale, con particolare riguardo per i princìpi, riconosciuti in tutto il mondo, sui quali si fonda la conciliazione consensuale stragiudiziale.
      Si tratta dei profili più squisitamente procedurali, quali l'oralità, l'informalità, la concentrazione, la rapidità e la trasparenza, strettamente legati alla natura volontaria e spontanea del ricorso alla composizione consensuale non solo delle controversie civili e commerciali, ma anche dei conflitti, ivi compresi quelli metagiuridici e sociali.
      Le attività previste dalla proposta di legge sono organizzate nel Servizio nazionale integrato di composizione consensuale professionale dei conflitti e delle controversie, istituito dall'articolo 1.
      La proposta di legge, in sostanziale sintonia con vari altri progetti di legge - tuttora all'esame del Parlamento - individua due soggetti legittimati ad intervenire nel settore: i soggetti pubblici (gli organismi presso i tribunali, presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e presso gli UTG) e i soggetti privati (nella forma di associazioni tra professionisti e società tra avvocati).
      Per ciascun organismo è previsto un modello procedimentale specifico.
      Quanto, poi, ai soggetti professionali chiamati a svolgere l'attività di conciliazione, un ruolo preminente è stato affidato alle categorie degli avvocati, dei notai, dei magistrati e dei docenti universitari.
      Sono stati, nondimeno, inseriti anche i dottori commercialisti, i laureati in scienze economiche, nonché in scienze psicologiche e sociali, purché dotati di una solida formazione di base, acquisita grazie alla partecipazione ad appositi corsi di formazione tenuti da enti pubblici e privati, accreditati dal Dipartimento degli affari di giustizia del Ministero della giustizia, in veste di Autorità custode del registro degli organismi di conciliazione e, soprattutto, responsabile del Servizio nazionale integrato.
      Tenuto conto delle peculiarità della conciliazione stragiudiziale professionale, è sembrato opportuno richiamare in un articolo ad hoc (l'articolo 9) le modalità che devono essere osservate e rispettate in sede di esecuzione e di applicazione della procedura. Il punto è quanto mai qualificante, giacché si tratta di profili che consentono di collocare la conciliazione stessa in un ambito profondamente diverso e distinto da tutte le altre procedure di natura più marcatamente contenziosa.

 

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      Informalità, spontaneità, riservatezza e comunione di intenti, in chiave di cooperazione tra le parti, sono elementi del tutto estranei alla cultura del processo, così come alla cultura dell'arbitrato. Ma vi è di più: rimangono del tutto lontani dalla conciliazione i princìpi propri delle procedure di natura contenziosa quali il contraddittorio e la valutazione della dichiarazione e dei comportamenti tenuti dalle parti.
      All'interno del capo II sono contenute le norme di applicazione pratica: dalle modalità di avvio della procedura, alla individuazione del conciliatore; dalle modalità generali di comportamento del conciliatore, all'attività di «caucusing», inteso come libertà del conciliatore di relazionarsi con le parti in conflitto, al precipuo scopo di individuare la sfera di interessi di ciascuna di esse, al di là delle posizioni di fondo assunte.
      Non è stata tralasciata - nella prospettiva di un diverso, più facile accesso alla giustizia - l'opportunità di prevedere una «proposta finale di accordo», a cura del conciliatore, allorquando le parti congiuntamente lo richiedano, al fine di far sì che in ipotesi di successiva apertura del contenzioso vero e proprio (giudiziario o arbitrale) si possa far emergere e far sanzionare dal giudice la responsabilità aggravata ai sensi dell'ex articolo 96 del codice di procedura civile.
      Ciò, beninteso, allorquando la parte attrice fosse condannata sulla medesima base di valutazione già operata dal conciliatore.
      La totale riservatezza su atti, documenti, dichiarazioni, affermazioni verbali, condotte, eccetera, è stata espressamente invocata, in quanto del tutto connaturata con la conciliazione stessa: vuoi per proteggere l'accordo finale autodeterminato dalle parti; vuoi in funzione della salvaguardia delle posizioni delle parti medesime, libere di adire il giudice o l'arbitro, in caso di mancata conciliazione, senza rischi né pregiudizi legati al tentativo di conciliazione esperito.
      In aggiunta sul punto, viene invocata l'applicazione dell'articolo 622 del codice penale, in tema di «segreto professionale», da estendere a conciliatori e compositori, a garanzia della procedura e delle parti coinvolte nel conflitto o nella controversia.
      Il capo II si chiude con due articoli di rilevante interesse: l'articolo 13 e l'articolo 14, in cui si prevede (articolo 13) che nel corso del processo ordinario di cognizione il giudice possa invitare le parti a tentare la conciliazione e si interviene sul codice di procedura civile (articolo 14), introducendo l'articolo 194-bis e modificando l'articolo 199, per consentire di delegare anche al consulente tecnico d'ufficio, nominato dal giudice, il tentativo di conciliazione.
      Con l'articolo 13 si intende invocare una risoluzione delle controversie di natura «endoprocessuale», gestita - in qualche modo - dal tribunale. In buona sostanza, il giudice dovrebbe indirizzare le parti in conflitto dinanzi al terzo, indipendente e neutrale, che agisce per conto di un organismo pubblico.
      Con l'articolo 14 si intende ampliare il ricorso ai sistemi alternativi, offrendo al consulente tecnico d'ufficio un ulteriore motivo per intervenire in modo autorevole nel processo, pur nel rispetto della volontà delle parti coinvolte.
      Il capo III prende in esame le disposizioni volte a favorire il ricorso alla conciliazione stragiudiziale professionale.
      Dette norme riguardano, fondamentalmente: gli effetti giuridici derivanti dal verbale di conciliazione, diversi a seconda della natura pubblica o privata dell'organismo di conciliazione; l'istituzione del registro degli organismi autorizzati alla gestione dell'attività di conciliazione e le modalità di controllo da parte dell'Autorità, rappresentata dal Dipartimento degli affari di giustizia del Ministero della giustizia; la formazione dei conciliatori; gli obblighi di informazione posti a carico sia dell'autorità, sia degli avvocati nei confronti dei clienti, in merito alla scelta della ADR, rispetto alle altre scelte possibili; l'adozione di apposita clausola di ricorso alla conciliazione, da collocare tra le condizioni generali di contratto delle imprese disposte ad affrontare, con la propria
 

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clientela, l'iter stragiudiziale per la risoluzione delle controversie.
      Seguono le norme relative alle esenzioni di atti e documenti da spese, tasse, bolli e diritti, con la previsione che l'imposta di registro sia contemplata solo in presenza di verbali di conciliazione nei quali il valore della controversia superi i 50.000 euro.
      Il capo III si chiude con le disposizioni di attuazione e con le norme di copertura finanziaria.
      Nel dettaglio, l'articolo 1 enuncia le finalità della presente proposta di legge, improntata alla promozione e alla incentivazione del ricorso alla composizione consensuale stragiudiziale professionale, come metodo idoneo alla risoluzione dei conflitti e delle controversie in materia civile e commerciale, purché vertenti su diritti disponibili. A tale scopo è istituito il Servizio nazionale integrato di composizione consensuale professionale dei conflitti e delle controversie, il cui organo responsabile è individuato nel Dipartimento degli affari di giustizia del Ministro della giustizia.
      L'articolo 2 definisce la composizione consensuale come intervento di un terzo, imparziale e neutrale, diverso dal giudice competente e dall'arbitro, che ha il compito di facilitare la comunicazione e la negoziazione tra le parti, nell'intento di condurre a un accordo autodeterminato dalle parti stesse.
      L'articolo 3, sulla base delle esperienze maturate in ambito internazionale, stabilisce una serie di princìpi qualificanti, quali la informalità, l'oralità, la concentrazione, la rapidità e la trasparenza.
      Per differenziare in modo sensibile la procedura di conciliazione dalle procedure di natura contenziosa, viene consentito alle parti di rinunciare all'assistenza dei difensori.
      Nulla vieta, tuttavia, che gli statuti degli organismi possano prevedere soglie di valore al di sopra delle quali può rendersi necessaria l'assistenza tecnica di un difensore o di un esperto.
      I princìpi generali richiamati dall'articolo 3, nonché le peculiarità enunciate dall'articolo 9, vanno considerati come inderogabili, ai fini della gestione della procedura di composizione consensuale dei conflitti e delle controversie.
      L'articolo 4 si preoccupa di regolamentare l'attività degli organismi privati di conciliazione, affidata essenzialmente alla categoria forense comunque organizzata, vuoi in forma associata, vuoi di società tra avvocati, di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, di attuazione della direttiva 98/5/CE.
      In conformità con le disposizioni concernenti l'istituzione del registro degli organismi di conciliazione stragiudiziale, di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, riguardante il nuovo diritto societario, per i soli organismi di natura privata è stato contemplato l'ottenimento di una polizza fideiussoria non inferiore a 500.000 euro a copertura delle possibili conseguenze patrimoniali negative, collegate all'attività di conciliazione.
      Rilevanti, altresì, sono i princìpi di democraticità e di autonomia che devono contraddistinguere l'organizzazione interna degli organismi, nonché i princìpi di indipendenza, neutralità, equità, trasparenza e riservatezza, ai quali deve essere improntata la condotta dei conciliatori.
      Né mancano disposizioni per le società tra avvocati, il capitale sociale delle quali, per non meno del 50 per cento, deve risultare conferito da avvocati, commercialisti ovvero altre professionalità eventualmente individuate con appositi decreti del Ministro della giustizia.
      Il comma 8 prevede l'ipotesi che tutti gli organismi, siano essi pubblici o privati, possano stipulare tra loro convenzioni e accordi per la gestione congiunta dell'attività conciliativa, previo benestare dell'Autorità, in veste di responsabile del Servizio nazionale integrato.
      L'articolo 5 si occupa degli organismi operanti presso i tribunali con organizzazione, mezzi, strutture e personale forniti sia dal consiglio dell'Ordine degli avvocati locale, sia dagli uffici giudiziari del circondario coinvolti.
 

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      Un accento particolare viene posto - in caso di mancato accordo delle parti - sul carattere rotativo e automatico della scelta dei nominativi dei conciliatori ai quali assegnare i casi sottoposti alla procedura.
      Non viene esclusa del tutto la possibilità che altre professionalità possano gestire la composizione consensuale dei conflitti, purché dotate di preparazione specifica in materia, a seguito di frequentazione - con esito positivo - dei corsi contemplati dalla legge, monitorati dall'autorità e da questa individuati con standard di qualità espressamente indicati.
      L'articolo 6 si occupa di disciplinare l'attività degli organismi operanti presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in affiancamento e in aggiunta rispetto alle commissioni conciliative già operanti a norma dell'articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n.580.
      Alla presidenza degli organismi vengono chiamati i presidenti delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura con l'apporto, ai fini dell'attività, delle rappresentanze delle associazioni dei consumatori, degli imprenditori, nonché dei professionisti iscritti nell'elenco dei conciliatori, allo scopo costituito.
      L'ammontare delle controversie non deve - di massima - essere superiore a 50.000 euro.
      L'articolo 7 si preoccupa di dare vita ad organismi di conciliazione al servizio dei conflitti di natura sociale e, comunque, inquadrabili in un contesto di «ordine pubblico», nel senso più ampio del termine.
      Anche in tale caso, organizzazione, mezzi, personale e strutture vengono forniti dall'UTG competente per territorio.
      Il tutto è in ogni caso assoggettato al controllo dell'autorità centrale, in veste di responsabile del Servizio nazionale integrato.
      Rilevante appare il comma 5, che è formulato in modo da consentire che la procedura di conciliazione possa essere adottata, di volta in volta, a discrezione del prefetto, con flessibilità di tempi e di luoghi, purché giustificata dall'urgenza di provvedere e dalla probabilità di successo.
      Spetta al prefetto la custodia dell'elenco dei conciliatori e l'assegnazione dell'incarico, in base alle richieste.
      L'articolo 8 detta i criteri di scelta dei conciliatori, richiamando il principio della designazione automatica a rotazione, nel caso venga a mancare l'accordo delle parti.
      Il comma 3 si prefigge lo scopo di ampliare la scelta dei conciliatori, anche oltre la sfera dei giuristi. Considerata, infatti, la multidisciplinarietà della conciliazione, non solo non esistono preclusioni, ma anzi devono trovare una giusta collocazione professionalità di estrazione economica, psicologica e sociale, purché in possesso di una solida preparazione sul tema, conseguita anche grazie ad uno o più corsi di formazione accreditati e dotati degli standard fissati dall'autorità stessa.
      L'articolo 9 intende fissare alcune specificità della conciliazione quali, soprattutto, la mancanza di qualsivoglia potere impositivo in capo al conciliatore, nei confronti delle parti, e la piena e libera volontà di queste ultime di decidere se e come pervenire ad un accordo volto a risolvere il sottostante conflitto.
      Delle specifiche peculiarità ivi elencate, si è già fatto cenno al commento sub articolo 3.
      L'articolo 10 si limita ad elencare gli elementi da inserire nella istanza di conciliazione, da depositare, poi, presso la segreteria dell'organismo, al fine di dare l'avvio alla procedura vera e propria.
      L'articolo 11, dopo aver precisato che il conciliatore è tenuto a chiamare le parti dinanzi a sé, per la prima riunione, nel termine di quarantacinque giorni dalla data di deposito dell'istanza di conciliazione, si preoccupa di precisare che il conciliatore stesso rimane, comunque, libero di intrattenere rapporti con le parti, vuoi congiuntamente, vuoi separatamente, al fine di comprendere i bisogni degli istanti, senza che vi sia la pressione della controparte.
      Viene escluso che il conciliatore, riguardo alle informazioni raccolte e ai documenti acquisiti, possa registrare o
 

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verbalizzare alcunché. Ciò in funzione della segretezza e della riservatezza che devono essere osservate da tutti.
      È comunque ammessa la partecipazione di uno o più esperti, previo consenso delle parti ed a loro spese.
      Anche il conciliatore è libero di rinunciare alla procedura e può essere sostituito.
      L'abbandono di una delle parti è condizionato alla sola comunicazione dell'evento al conciliatore e all'altra parte.
      Nel corso del tentativo di conciliazione, la sottoscrizione dell'istanza relativa comporta il divieto di dare corso ad iniziative di natura giudiziaria, per l'intera durata del tentativo. In caso di violazione dell'obbligo, il giudizio ordinario rimane sospeso fino al termine della procedura di conciliazione.
      L'elemento determinante della conciliazione professionale è dato dal fatto che, a differenza dalle altre metodiche di risoluzione alternativa delle controversie, il conciliatore prescinde dalle responsabilità delle parti e dalle posizioni assunte da queste, per concentrarsi sugli interessi che muovono le parti stesse, consentendo così il raggiungimento di un accordo «win-win», atto a mantenere e a salvaguardare i futuri rapporti tra i soggetti coinvolti.
      Su richiesta congiunta delle parti, in caso di mancato accordo, il conciliatore è legittimato a formulare una proposta finale di accordo, ovvero una valutazione sul probabile esito della lite, valutabile ai sensi dell'articolo 96 del codice di procedura civile, nell'eventuale giudizio ordinario.
      Il comma 11 contempla l'ipotesi che, a fronte della mancata comparizione di una delle parti, l'altra parte possa richiedere copia di un verbale che attesti la circostanza di cui sopra. E ciò in funzione dell'eventuale addebito delle spese da porre a carico della parte inadempiente.
      L'articolo 12 richiama la fondamentale applicazione del principio della riservatezza su ogni e qualsiasi aspetto (cartaceo e non) della procedura, non solo perché connaturata con la procedura adottata, ma anche perché funzionale alla stessa, in quanto destinata a far salvo ogni diritto e/o interesse delle parti, in prosieguo di tempo, là dove il tentativo fosse destinato a non sortire l'effetto desiderato.
      Gli articoli 13 e 14 riguardano, fondamentalmente, l'utilizzo della composizione consensuale in chiave «endoprocessuale», così come raccomandata dal giudice ordinario, ovvero dal consulente tecnico d'ufficio.
      In entrambi i casi si ipotizza che l'incarico di procedere al tentativo di conciliazione possa essere demandato agli organismi deputati, siano essi pubblici o privati.
      L'articolo 15 determina gli effetti legati al verbale di conciliazione, con modalità diverse a seconda che il verbale stesso sia stato redatto da organismi pubblici o privati.
      Per gli organismi privati, l'acquisto della forza esecutiva del verbale di conciliazione è condizionato al procedimento di omologazione da parte del tribunale.
      L'articolo 16 è dedicato alla istituzione del registro nazionale degli organismi autorizzati a gestire l'attività di conciliazione.
      Il registro nazionale viene custodito dal Dipartimento degli affari di giustizia del Ministero della giustizia, «Autorità» responsabile del Servizio nazionale integrato.
      Si prevede che l'Autorità venga coadiuvata da un comitato di giuristi con compiti di natura consultiva, in funzione di una loro riconosciuta competenza in materia.
      A parte la suddivisione del registro in separate sezioni, in uno con gli elenchi dei conciliatori relativi, quel che si rileva è la individuazione dei compiti preminenti attribuiti all'Autorità in termini di: aggiornamento dei dati raccolti; verifica delle professionalità coinvolte; vigilanza sulla forma giuridica degli organismi; controllo dei requisiti dei soci; vigilanza e sovrintendenza sulla organizzazione dei corsi di formazione.
      L'articolo 17 contempla le ipotesi di sospensione e di cancellazione degli organismi dal registro nazionale, con impedimento a proseguire l'attività, in caso di
 

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esigua attività conciliativa (meno di cinque procedimenti in oltre due anni).
      La sanzione che ne deriva è la preclusione della ripresa del servizio di conciliazione, prima di tre anni dalla data della cancellazione.
      L'articolo 18 disciplina, viceversa, i singoli registri da tenere presso gli organismi di conciliazione e utili a fini anche statistico-informatici. Ogni dato resta comunque coperto da riservatezza nei confronti di terzi.
      L'articolo 19 tratta la formazione dei conciliatori, riservata al Ministero della giustizia, tenuto da parte sua a fissare i criteri ai quali i corsi dovranno essere ispirati (modalità, contenuti, tempi, luoghi, docenze, eccetera).
      Né mancano disposizioni di natura transitoria, in attesa che il Servizio nazionale integrato possa diventare operante.
      L'articolo 20 e l'articolo 21 si preoccupano di fissare gli obblighi di informazione su vantaggi e svantaggi della composizione amichevole dei conflitti e delle controversie, sia in capo all'autorità, sia in capo agli avvocati, con relativa modifica per questi ultimi della legge professionale (regio decreto-legge 27 novembre 1933, n.1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36).
      L'articolo 22 attribuisce al Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di definire con apposito regolamento i minimi e massimi delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione sia pubblici, sia privati. Gli ammontari vengono rideterminati ogni tre anni, in funzione della variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati nel triennio precedente, calcolata dall'Istituto nazionale di statistica.
      La parte di indennità di spettanza dei conciliatori, versata agli organismi, viene posta a carico delle parti in modo paritetico, salvo diverso accordo delle parti stesse.
      L'articolo 23 stabilisce che la semplice proposizione dell'istanza di conciliazione, formalizzata a mezzo deposito presso l'organismo di conciliazione interessato, determina l'interruzione dei termini di prescrizione ai sensi dell'ex articolo 2943 del codice civile.
      Del contenuto dell'articolo 24 e delle condizioni generali di contratto nelle quali inserire clausole di impegno delle imprese a conciliare, in caso di controversia con i consumatori, in modo particolare, si è già detto in precedenza.
      L'iniziativa va peraltro supportata, in quanto espressione di una politica di mercato favorevole agli utenti ed all'accesso alternativo alla giustizia ordinaria e/o all'arbitrato.
      L'articolo 25 prevede l'esenzione dall'imposta di bollo e da qualsiasi spesa, tassa o altra imposizione fiscale, per tutti i documenti, atti e provvedimenti legati alla procedura di conciliazione.
      È previsto il pagamento della imposta di registro, solo per i verbali di conciliazione riguardanti controversie di ammontare superiore a 50.000 euro.
      Gli articoli 26 e 27 trattano delle disposizioni di attuazione e della copertura finanziaria.
 

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